“Vincere è l’unica cosa che conta“, ha scritto Dušan sul suo profilo Instagram dopo i tre punti ottenuti all’ultimo respiro contro il Verona. Un tentativo subdolo di scostare l’attenzione dal momento negativo che indubbiamente sta soffrendo, nascondendolo dietro un motto che spesso ha caratterizzato la recente storia bianconera. A nessuno, tuttavia, è sfuggita l’ennesima prestazione “indolente e statica“, come l’ha definita Tuttosport. Quell’attaccante affamato e capace di segnare, nelle prime quattro di campionato, altrettanti gol, sembra già un lontano – ma vivido – ricordo.
Contro il Verona nessuna reale occasione da gol, tralasciando la goffa lisciata del minuto 69 sul retropassaggio di McKennie, dopo essersi staccato dalla distante marcatura di Magnani. Non che non ci abbia provato: 5 i tentativi di tiro, dei quali uno soltanto ha centrato lo specchio, per un totale di 0.38 xG. Numeri lontani dal cinismo spietato delle prime di campionato: a Udine, un tiro (su rigore) e un gol; col Bologna un’incornata da 0.05 xG; con la Lazio, beh, ce lo ricordiamo tutti. Poi il disastro di Reggio Emilia, uno spezzone poco memorabile contro il Lecce e la lombalgia che lo ha tenuto fermo venti giorni.
Nel frattempo, complici le condizioni altalenanti di Chiesa, Allegri è stato costretto a schierare sempre più spesso il duo composto da Kean e Milik – anche se, insieme dall’inizio, hanno giocato solo contro il Milan. Il polacco, in particolare, quando il fisico regge si conferma una boa eccezionale, un saltatore immarcabile (9 colpi di testa in area di rigore avversaria) e un finalizzatore implacabile: gol vittoria sul Lecce, raddoppio col Torino e craniata che propizia il gol di Cambiaso dopo il palo colpito. La sensazione è che Arkadiusz, più di Dušan, abbia quell’educata predisposizione al minimalismo del suo allenatore.
Bene anche Kean, il quale sabato ha sfoderato una prestazione sorprendente per qualità nel dribbling (3 su 4 riusciti), tecnica di base (un tempo discutibile), presenza, fame, dinamicità. Segnali convincenti che già erano emersi contro il Milan – l’espulsione di Thiaw è una somma tra l’ingenuità del difensore e la furbizia dell’attaccante. Al momento, Moise rappresenta l’alter ego fisico di Chiesa, una mina vagante capace di ottimi strappi individuali a cui manca “solo” la via costante della rete. Una seconda punta, quindi, che sta lavorando per scalare i numeri ordinali.
La Juventus, di fatto, ha quattro attaccanti titolari – e sappiamo bene che Allegri non disdegna mosse a sorpresa come la posizione di Miretti nel derby o l’inserimento del giovane Yildiz. E qui si ritorna al quesito di partenza: come gestire questo Vlahovic? Insistere schierandolo dal primo minuto, trattarlo come “uno dei quattro”, oppure consentirne il graduale recupero (mentale prima che fisico)? Da quando è in bianconero, in effetti, Dušan non ha mai trovato la continuità realizzativa che aveva a Firenze, né la spensieratezza di cui ha disperatamente bisogno.
La fotografia delle prime dieci giornate di Serie A raffigura un calciatore forte ma ancora troppo umorale, confuso e poco lucido, senza un’identità chiara – fatica nello stretto, non aiuta la squadra a salire o a riposare (appena 6 i falli subiti) e spesso attacca male lo spazio a disposizione. A peggiorare il tutto c’è poi la nuova consapevolezza di Allegri, che sa, grazie a Kean e Milik, di non dipendere forzatamente dal numero 9 serbo per strappare una vittoria di corto muso. Ma forse per Dušan non è un problema, dal momento che vincere è l’unica cosa che conta.