Leão, essere il più forte non è abbastanza

Inconsistente, forse, non è la parola giusta: sarebbe eccessivo affermare che Rafa Leão non abbia avuto fin qui alcun peso sulla stagione del Milan. I numeri non sono certo dalla sua parte, a cominciare da quel dato che ormai è sulla bocca di tutti. Il portoghese non calcia nello specchio in campionato dalla decima giornata, al Maradona di Napoli. Poco ambizioso allora, sembra già più calzante. Perché va bene ammettere di poter diventare «come Ronaldo e Mbappé» – nelle interviste, Rafa non si è mai nascosto – ma il prossimo 10 giugno compirà 25 anni e il divario è ancora bello ampio.

«Non sono un giocatore egoista», ammetteva Leão ai primi di gennaio con una retorica che sa di maniavantismo. Attenuativo, ma non falso. È come se avesse assimilato l’essenza prototipica del numero 10 “che gioca per i compagni” sacrificando un po’ di sana gloria personale – troppa, evidentemente. Primo nel Milan per big chance create (10), passaggi che portano al tiro (2.36 P90) e pure per Expected Assists (5.68, addirittura più dei 5 effettivamente concretizzatisi). «Se posso fare gol e c’è un mio compagno libero, la passo, anche se posso fare gol». Chapeau, caro Rafa, ma il problema sta proprio qui.

Quello della stagione in corso è un Leão meno esplosivo – persino a dribbling tentati, la sua specialità, appare più restio rispetto all’anno passato: 64 appena. Più che una maturazione, quindi, il nuovo atteggiamento altruista e riflessivo ha decretato un vistoso calo a livello statistico. E ciò ha due importanti postulati. Innanzitutto, cercare il passaggio anziché il tiro – sono “solo” 2.15 le conclusioni P90, meno di Jovic, Okafor e Chukwueze – significa (anche) scaricare sui propri compagni la responsabilità di concludere l’azione, piuttosto che assumersela come i vari Mbappé, Messi, Haaland e Ronaldo che menziona.

Di conseguenza, si può obiettare che il percorso intrapreso dal portoghese non rappresenti un’involuzione, ma semplicemente l’evoluzione sbagliata. È vero, infatti, come riporta il thread di Antonio Belloni su X, che “Rafa ha fatto passi da gigante come playmaker offensivo, […] tocca più palloni, effettua più passaggi (chiave e non), vince più duelli aerei e fa più tackles”. Ma siamo sicuri che – per la propria squadra e per la propria carriera – sia una buona cosa? Non dimentichiamo che Leão chiuse l’anno del diciannovesimo scudetto con 11 gol e 8 assist, per poi migliorare il proprio score di 4 marcature la stagione successiva.

Oggi, dopo 21 partite di Serie A, il dez può vantare giusto 3 gol (sì, gli stessi di Tomori) e 5 assist (nei numeri, dunque, non si nota alcun upgrade). Contro l’Udinese ha preso alcune belle iniziative: il filtrante che ha messo Giroud a tu per tu con Okoye, l’imbucata per Theo sulla rete del vantaggio e prima del pareggio di Jovic. In generale, è difficile rintracciare una prestazione davvero insufficiente, perché Leão è forte – il più forte, probabilmente, per caratteristiche fisiche, tecniche, per la sinuosa facilità con cui gioca a calcio. Eppure, 0.00 xG nelle ultime due gare, 0 gol in campionato dalla quinta giornata contro il Verona.

E ancora: 2.65 xG totali, cinquantunesimo in Serie A. Nel gioco rossonero, Rafa deve garantire dinamismo, imprevedibilità, improvvise accelerazioni. Insomma, deve fare molto di più. Deve, per prima cosa, misurarsi con le proprie ambizioni senza nascondersi dietro a un dito – o dietro ai dati. Lasciare inespresso un simile potenziale sarebbe un gesto di egoismo decisamente peggiore rispetto a calciare in porta un paio di volte in più. Per raggiungere i mostri sacri sopracitati serve meno sufficienza e più fame, meno indolenza e più dedizione. I gol non sono tutto, certo, perché non sono soltanto i numeri a fare la differenza.

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