Ogni anno, i club importanti e più organizzati pianificano gli obiettivi che la squadra deve raggiungere, e questo, si capisce, accade a bocce ferme, quando il calcio d’inizio della stagione è ancora lontano. Ma per quanto a concepirli siano fini strateghi, e per quanto il mercato regali grandi nomi, capita che i piani vadano a farsi friggere, vuoi per sfiga, vuoi perché le squadre avversarie fanno meglio scoprendo, benché inferiori sul piano tecnico, l’alchimia giusta per vincere o quello che qualcuno chiama poeticamente “Fattore C”. Ora l’imponderabile, o cosa sfuggente ma così determinante, si è rivelato un po’ in tutte le manifestazioni di calcio, note e meno note, nazionali e internazionali, ivi compresa la nostra amata Champions League, dove a volte, specie in Finale, assistiamo a fernomeni che hanno quasi del paranormale; anzi, togliamoci pure il “quasi”.
Quali sono, insomma, le sorprese più grandi in finale di Champions League? Se per “sorprese” intendiamo le outsider approdate all’atto conclusivo del torneo, be’, gli abbinamenti entrati nella storia e che mai nessuno avrebbe pronosticato a inizio rassegna sono almeno due: Nottingham Forest-Malmo del 1978/79 e Monaco-Porto del 2003/04. La partita fra gli inglesi e gli svedesi si concluse 1-0 a favore dei primi, ma la cosa sorprendente è che nel loro cammino i Tricky Trees si sbarazzarono tra gli altri del Liverpool campione in carica da due edizioni di Champions consecutive; per non dire dell’enormità che il Forest allenato da Brian Howard Clough un anno prima aveva già conquistato la Premier League – per giunta da squadra neopromossa – e che nel 1980/81 vincerà di nuovo la Coppa dalle Grandi Orecchie, questa volta superando l’Amburgo.
Le sorprese Monaco-Porto in finale di Champions League furono altrettanto grandi. Certo, i portoghesi venivano dalla conquista della Coppa Uefa e avevano un giovane e rampante Mourinho in panchina… Ma da qui a immaginarli sul tetto d’Europa ce ne passava. Se non che l’altra finlaista fu di nuovo un’outsider (i monegaschi, appunto), che tornata in Champions League dopo tre anni di assenza si ritrovò a vincere un girone di ferro con Deportivo La Coruna, PSV Eindhoven, ARK Atene, quindi si liberò di Lokomotiv Mosca, Real Madrid e Chelsea, prima di sbattere 3-0 in finale contro un Porto ormai convinto dei propri mezzi. Grandi storie, non c’è che dire, storie di finali inattese che solo il calcio può regalare, e di quelle che per imprevedibilità lasciano a bocca aperta gli addetti ai lavori e i tifosi tutti, anche i più ottimisti fra loro.
Storie che fanno la bellezza intramontabile del calcio, specie quando vengono scritte da una penna impazzita nell’evento più prestigioso della stagione calcistica: la finale di Champions League. Benché dolorosa, ahinoi, come non ricordare qui la partita shock che strappò una coppa già vinta ai rossoneri? Edizione 2004/05, Milan-Liverpool, 3-0 allo scadere del primo tempo. Match segnato. E invece no: è l’anticamera del ribaltone (im)possibile più celebre di sempre. Dopo l’intervallo, così di colpo, la ruota gira a favore dei Reds e il Diavolo sprofonda in un Inferno senza ritorno. In sei minuti, i più folli nella storia della Coppa Campioni, l’undici di Benitez agguanta il pareggio con le reti di Gerrard, Smicer, Alonso, e la squadra di Ancelotti si trasforma nella copia sbiadita di se stessa fino ai rigori, dove, ancora incredula, cederà lo scettro ai rivali. Trascorse due stagioni, Milan e Liverpool si sfideranno di nuovo in finale di Champions, e questa volta la spunteranno i rossoneri con doppietta di Inzaghi. Cos’era accaduto, però, due anni prima? Cosa aveva sconvolto il logico sviluppo di una partita a senso unico? L’imponderabile, dicevamo all’inizio, quel dato inspiegabile che ora affossa i sogni ora li esalta, quella variabile che nessuno può mettere in conto e che a volte dà a volte toglie.