La 74° edizione della Coppa Italia, che andrà in scena mercoledì sera alle ore 21.00 al Mapei Stadium, vedrà opposte le compagini dell’Atalanta e della Juventus. Una sfida che vede da una parte la regina della competizione con 13 successi complessivi e dall’altra i nerazzurri, che fino a questo momento hanno alzato il trofeo solamente una volta, nel lontano 1963. Accomunate dalla storia recente che le ha viste nelle ultime due finali uscire a testa bassa sul secondo gradino, la Dea e la Vecchia Signora sono pronte a scrivere una nuova pagina di calcio giocato. Ci sarà il pubblico a sostenere la gara, per la prima volta dopo più di un anno e, come Cenerentola, solo fino alle 22.00, perché il coprifuoco rimane ancora uno degli ultimi segnali di quel momento triste, dal quale ripartire il prima possibile.
Mancini da record in Coppa Italia
In tribuna tra gli invitati ci sarà il C.t. della Nazionale Italiana Roberto Mancini, vero recordman di questa competizione. Da giocatore il buon “Rosichello”, soprannominato così tra le vie di Roma per quella difficoltà nell’accettare le sconfitte, ha vinto la Coppa Italia per ben 6 volte: quattro con la maglia della Sampdoria e due con quella della Lazio. Tra i giocatori ancora in attività a poterlo raggiungere in cima alla vetta, il numero 77 della Juventus, Gianluigi Buffon, un esperto quando si parla di record da abbattere. Ma attenzione, perché Mancini è anche l’allenatore ad aver alzato il trofeo al cielo più volte. La panchina però questa volta è affollata e ad aver collezionato quattro vittorie come l’attuale tecnico della Nazionale ci sono anche Sven-Goran Eriksson e Massimiliano Allegri. Anche alla voce presenze l’ex allenatore dell’Inter regna: 120 in questa competizione, tallonato da Giuseppe Bergomi (119) e da Pietro Vierchowod, suo compagno negli anni magici in maglia blucerchiata.
La Dea, un salto nella storia
Non tutti conoscono le origini della “Regina delle provinciali”, non tutti sanno cosa si cela dietro alla sua nascita e alla storia romantica del suo nome. Partiamo dal 1907 e dalla scissione della Giovane Orobia, e più precisamente il 17 ottobre dello stesso anno, quando alcuni studenti liceali fondarono la Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta. Il nome non fu scelto a caso, ma fu legato proprio all’omonima Dea greca. La leggenda narra che una neonata Atalanta fu abbandonata e cresciuta da un’orsa incaricata da Artemide, Dea della caccia. Con il passare degli anni la coraggiosa Atalanta promise di sposarsi solo con chi fosse riuscito a batterla in una gara di corsa. Ci fu un solo vincitore che attraverso l’inganno e l’aiuto di Afrodite, dea della Bellezza, lasciò cadere sul percorso delle mele d’oro che incantarono Atalanta. Gara persa e Melanione vincitore, quando la fantasia è protagonista. Un salto nell’antica Grecia, inusuale per noi, ma dal quale ci siamo fatti incuriosire, per quel giovane volto raffigurato sullo stemma ufficiale della squadra bergamasca.
Il bianconero che ha giocato in tutti i ruoli
La storia della Juventus è conosciuta ormai a tutti, ma in pochi sanno che tra le fila della Vecchia Signora un giocatore detiene un record a dir poco particolare. Con la nostra macchina del tempo andiamo nel 1942 a conoscere Pietro Magni. In quegli anni le casacche erano numerate in ordine crescente rispetto alla titolarità e sorprende il fatto che un giocatore abbia in qualche modo giocato in tutte le posizioni, indossando tutti i numeri a disposizione. “Jolly Magni”, così soprannominato, dal 1942 al 1948 ha disputato 106 gare segnando 27 gol totali, mettendosi a completo servizio della squadra. Da portiere a prima punta, un giocatore che definire poliedrico sembra essere riduttivo. Una carta da giocarsi in ogni occasione, un giocatore che avrebbe messo in grande difficoltà gli organi supremi del Fantacalcio.
Uno scarpone, un venditore ambulante e un passato da dimenticare. La Coppa Italia passa dalla Colombia.
Luigi Delneri, tecnico dell’Udinese nella stagione 2016/2017, lo definì uno “Scarpone” e, anche se la frase passò inosservata, Dùvan Zapata ci tenne a precisare: “Me l’hanno riferito, dopo mi dissero che lui spiegò di averlo detto in senso buono. Ma poi, cosa significa scarpone? Mica lo so. Non sono Messi, ma ho le mie qualità. L’esplosività prima di tutto”. Un giocatore che nei primi anni di Serie A ha faticato a trovare continuità e ambienti realmente interessati a scommettere su di lui. Da Napoli a Udine, al ritorno sotto il Vesuvio, stagioni passate tra sessioni di allenamento solitarie e tensioni nocive per la crescita di un giocatore. Prima la Sampdoria e poi l’Atalanta decisero di puntare su di lui. Percassi per assicurarsi le prestazioni di Dùvan Zapata sborsò 30 milioni di euro sull’unghia. Un’operazione indovinata, che portò l’attaccante in 3 stagioni a diventare un Top indiscutibile di reparto. Alla fine, lo “Scarpone” ha dimostrato a tutti chi aveva ragione.
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Un altro colombiano che a Bergamo ha trovato la sua dimensione e che in questa stagione è stato il vero uomo copertina dei nerazzurri è Luis Muriel. Non tutti sanno però che il “Valenciano”, soprannominato così per quella tecnica di calcio esemplare, rubata dal suo idolo, Ivan René Valenciano, (giocatore che ha collezionato anche 5 presenze ufficiali con la maglia dell’Atalanta) è partito da molto lontano. La famiglia, infatti, ha raccontato di un piccolo Luis che, tra un allenamento e l’altro, si districava tra vari lavori, tra i quali quello di venditore ambulante. I biglietti della lotteria nella borsa di calcio, tra le scarpette rotte e i parastinchi arrangiati. La famiglia era molto povera e l’attuale numero 9 della Dea, doveva fare il suo per aiutarla, per portare a casa dei soldi per mangiare. Biglietto dopo biglietto, dribbling dopo dribbling, il futuro prese forma, e non grazie alla fortuna di una vincita, ma al lavoro e alla dedizione del piccolo Luis.
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Chiudiamo il nostro viaggio in Colombia con Juan Cuadrado, l’esterno della Juventus che ha conquistato il mondo. In un’intervista ha confessato: “Quando ero piccolo ho vissuto momenti terribili. Nel mio villaggio in Colombia entravano sempre gruppi armati, mettendo a ferro e fuoco il villaggio, e io mi rifugiavo sempre sotto il letto. Una di quelle volte, quando uscii, scoprii che mio padre era stato ucciso. Fu lì che decisi di dover dare una svolta alla mia vita. Mia madre per mantenermi lavorava in una piantagione di banane per pochi soldi. Cominciai così col dare calci a qualsiasi cosa avevo sotto i piedi. Dovevo a tutti i costi diventare un giocatore professionista, solo per lei”. Un racconto atroce che ha cambiato la sua vita, e che oggi rimane indelebile nella memoria di Juan.
Le storie che si celano dietro ai riflettori sono quelle che ci fanno amare questo sport, dove lo spettacolo finisce, inizia la passione e sarà sempre quella a fare la differenza.