Sarri, Comandante innocuo: la Lazio non sa più essere pericolosa

News

Lazio senza cinismo, imprevedibilità ed entusiasmo, in primis dal mister

La Redazione31 Jan 2024

A primo impatto, non si direbbe una situaione così drammatica: sesto posto in campionato, a -2 dall'Atalanta quarta, e ticket per gli ottavi di Champions League già obliterato. Ma scavando (neanche troppo a fondo) nella stagione della Lazio, fino a qui, ci si accorge che qualcosa non funziona. A maggior ragione, se si pensa che parliamo della squadra che, lo scorso anno, ha concluso la Serie A da seconda classificata. E sotto inchiesta, ovviamente, ci finisce l'allenatore, Maurizio Sarri, che - ferma restando la difficoltà di operare sotto il regime Lotito - non è certo esente da colpe.

Prima di tutto, i dati: la Lazio è ancora una delle migliori difese (20 gol subiti in 21 giornate - l'anno passato chiuse a 30), ma è anche uno degli attacchi meno prolifici. E non solo in meri termini di reti segnate (24), ma di produzione offensiva generale. Se è vero che, rispetto all'annata 22/23, i biancocelesti centrano la porta una volta in meno a partita (3,5 p90 contro 4,5), il numero di conclusioni totali non è poi così inferiore, per un semplice motivo: fare peggio era difficile. Da quattordicesima (11,5 tiri p90) a quindicesima (11,3), con la differenza che la precisione è minore, il cinismo pure.

Emblematica è stata, a tal proposito, la partita di domenica contro il Napoli. Uno scialbo e giusto 0 a 0 in cui la squadra di Sarri ha sicuramente "creato" qualcosa di più senza mai, però, riuscire davvero a impensierire Gollini (appena una conclusione su dieci nello specchio). Ok, ma che colpa ne ha l'allenatore se i suoi non c'entrano la porta? Non è solo questo. La sterilità degli attacchi laziali risalta sotto il faro degli Expected Goals: la scorsa stagione, 60 reti da 56.21 xG totali, mentre il dato di oggi mostra un più equilibrato 29.01. Potrebbe trattarsi del classico caso di overperformance.

Senza nulla togliere alla bella cavalcata biancoceleste, l'ultimo anno di Serie A è stato piuttosto anomalo. Basti pensare che nel 19/20 la Lazio di Inzaghi arrivò quarta accumulando 78 punti, 4 in più rispetto al secondo posto di Sarri. Dopotutto, è stato lo stesso tecnico ad ammetterlo: "Tre squadre italiane erano impegnate in Champions League e hanno lasciato molti punti per strada, siamo stati bravi nell'inserirci. Non avevamo la rosa adatta per ottenere il secondo posto, prima o poi questa situazione si paga". Parole spese alla vigilia del ritono contro l'Atletico Madrid, perso malamente in terra spagnola.

Proprio sull'aspetto comunicativo vale la pensa soffermarsi. Sarri sembra incupirsi gradualmente, preferisce spesso e volentieri focalizzarsi sul rovescio negativo della medaglia piuttosto che difendere l'operato di ragazzi e dirigenza. E lo fa con tono arrendevole, vittimistico: un cinismo superfluo che spegne l'entusiasmo dell'ambiente anziché trasmettere calma e positività. L'ultimo caso dopo la sconfitta in Supercoppa contro l'Inter: Sarri, premettendo l'evidente superiorità degli avversari, ha espresso tutta la propria delusione per la prestazione, giustificandola in parte come un breakdown periodico senza apparente rimedio.

Insomma, il Comandante ha smarrito l'animosa verve di qualche anno fa - non gli è rimasto neppure il duello verbale con Mourinho - e la squadra ne risente sul campo, incapace di trovare alternative di gioco, Zaccagni-dipendente, succube del progressivo decadimento di Ciro Immobile. Anche le scelte di formazione sono frequentemente infelici: pensiamo al tardivo inserimento di Isaksen (il più propositivo nell'ultimo periodo e di sicuro contro il Napoli, sostituito senza motivo a pochi minuti dal termine), la fallimentare gestione di Kamada, la scarsa fiducia inizialmente riposta in Castellanos, Gila o Pellegrini.

Dopo tre anni di alti e bassi, il Sarrismo pare destinato a estinguersi dalla Capitale senza l'ombra di un trofeo - la Coppa Italia rimane l'ultima speranza per evitare di limitarsi a festeggiare un'eventuale quarto posto. Con molta probabilità, stiamo assistendo al tramonto di una filosofia di gioco diventata lenta e innocua (su 153 azioni cominciate a meno di 40 metri dalla porta avversaria, appena 22 si sono concluse con un tiro, 3 con un gol). E senza SMS, nemmeno i calci piazzati sono più pericolosi: 3 reti da 4,16 xG su 68 tentativi. Che un solo calciatore facesse così tanto la differenza?