Gabriele Cioffi è stufo e ha ragione di esserlo. Proprio lui che il 22 maggio 2022, con l’Udinese sopra di quattro gol a Salerno, l’ultima giornata di Serie A, si prese la responsabilità – e l’orgoglio – di concedere l’esordio nel campionato maggiore a un ragazzo di appena 16 anni, ora è al contempo vittima e carnefice. Vittima dei giornali e di tifosi forse poco oggettivi che lo etichettano come piromane, colui che sta bruciando la carriera del giovane di belle speranze. E allora, esasperato dall’ennesima domanda fuori luogo in una situazione giò sufficentemente tragica, Cioffi ha detto le cose come stanno.
“Pafundi non gioca per scelta tecnica. Io sono pagato per fare delle scelte e le mie scelte non vedono Simone titolare”. Le stesse parole che suonano come una condanna di eterno inutilizzo celano in realtà un’affettuosa difesa, esplicitata subito dopo: “Non discuto il talento; se lui ha pazienza è il benvenuto, se […] deve diventare un caso Pafundi annoiate me e non fate bene a lui”. Cioffi poteva benissimo ricorrere alle solite parole di circostanza, invece ha deciso di rivendicare – a nome di tutti gli allenatori – il diritto di compiere delle scelte, e la legittimità che il proprio ruolo conferisce alle scelte stesse.
L’Udinese ha dodici punti e affonda sempre più nell’abisso della zona retrocessione. Dove molti vedono l’opportunità di buttare un ragazzino nella mischia (esatto, sul 4 a 0 a San Siro contro un’Inter completamente padrona del gioco), l’allenatore friulano sceglie di preservarlo dal massacro. È lui che vede e valuta ogni giorno, in allenamento, i progressi, lo stato di forma, la capacità (o incapacità) di contribuire dall’inizio o a gara in corso. La valorizzazione di un giovane, infatti, passa prima di tutto dall’abilità gestionale del mister – quasi mai “lanciare” un esordiente sperando che faccia qualcosa è la scelta migliore.
È questione di contesto e di priorità. Di momenti. Lo scorso anno, forse, coi bianconeri salvi e senza più ambizioni, si poteva osare di più (appena 6 brevi spezzoni da inizio aprile a metà maggio). Adesso non sembra proprio il caso. Pensiamo, per esempio, all’esordio di Camarda con la maglia del Milan. Pioli lo ha mandato in campo per assoluta necessità, ma le prestazioni del classe 2008 in 26’ contro Fiorentina e Frosinone hanno prevedibilmente deluso le aspettative (qualora ce ne fossero). La sensazione è che, con Giroud e Okafor a disposizione, Francesco non vedrà il campo per un bel po’. Ed è meglio così.
La storia è colma di esempi di buona e cattiva gestione: si veda, esemplare, la scorsa stagione di Zirkzee, che Thiago Motta ha spesso tenuto in panchina nonostante le frequenti assenze di Arnautovic. O, ancora, il modo imperscrutabile in cui Palladino e Allegri considerano l’impiego rispettivamente di Vignato e Carbon nel Monza e Iling-Junior e Yildiz nella Juventus. Contesti diversi ma scelte similari che, ad oggi, non stanno influenzando negativamente i percorsi delle relative squadre. Il merito fa tutto, anche se non sempre viene premiato – e qui possiamo tirare di nuovo in ballo l’Udinese.
Nel 2013 approda in bianconero un sedicenne Guglielmo Vicario che, ostacolato da tre giovani italiani di grande prospettiva (Scuffet, Meret e Perisan), se ne fugge in Serie D al Fontanafredda mentre Simone Scuffet sorprende l’Italia intera debuttando a soli 17 anni. Il seguito lo conosciamo tutti. Lanciare un giovane passa in automatico come gesto virtuoso di un allenatore moderno quando magari si tratta semplicemente di necessità o, peggio, incoscienza. Il “caso Pafundi” soffre dell’hype creato dalle dichiarazioni di Mancini, ma è solo un altro esempio di gestione. Che sia buona o cattiva sarà il tempo a dirlo.