Domenica sera, sul manto erboso dell’Artemio Franchi, si è dipinta un’opera brutalista oscenamente pragmatica. I padroni di casa, spinti da un tifo che mescolava affetto, disprezzo e rancore, hanno incessantemente attaccato la porta difesa da Szczesny senza mai riuscire a superare l’estremo difensore polacco. Senza mai nemmeno impensierirlo particolarmente, stando alle dichiarazioni post-partita dello stesso portiere, per il quale la parata sulla punizione di Biraghi “sembrava difficile”, ma in realtà non lo è stata. La Juve, quindi, ha sì passato “dei momenti difficili”, ma non poi così complicati.
I 25 tiri della Fiorentina (dei quali appena 4 nello specchio, 11 fuori e 10 bloccati) hanno prodotto, infatti, meno di 1xG (0.73, per la precisione); il più pericoloso è stato Martìnez Quarta, il cui piattone da 0.08xG sull’appoggio di Nzola si è subito infranto contro il polpaccio di un attentissimo Gatti. Ma le offensive più arrembanti sono arrivate dalle fasce: 43 traversoni tentati – senza considerare i 9 corner battuti – 16 dei quali provenienti dal mancino di Cristiano Biraghi, che nelle dieci giornate precedenti ne aveva effettuati appena 17. Fatto sta che, alla fine dei quasi cento minuti di gioco, le “big chances” viola sono rimaste 0.
A trionfare, ancora una volta, è la filosofia praticistica di Massimiliano Allegri – capace di farsi beffe in un colpo solo tanto dei nemici (una rivalità d’estrazione territoriale prima che calcistica) quanto dei supporter juventini che non hanno mai nascosto le proprie antipatie verso il (non) gioco del tecnico livornese. Quest’ultimo ha progettato un’opera grandiosa quanto sconcertante: è stato come assistere alla première de “La sagra della primavera” di Stravinskij, o alla manifestazione del Sublime narrata dal Romanticismo. Il culmine dell’allegrismo che si sta consumando nella stagione corrente.
La Juventus è la miglior difesa del campionato insieme all’Inter: 6 gol concessi, 4 dei quali contro il Sassuolo. Poi appena due dalla combinazione di Udinese, Bologna, empoli, Lazio, Lecce, Atalanta, Torino, Milan, Verona e Fiorentina. Merito, senz’alto, delle convincenti prestazioni di Bremer (11/11 contrasti vinti), Gatti (75% di 1v1 bloccati sul nascere) e Rugani (con lui in campo da titolare, una rete subita nelle ultime 10 partite) su tutti. Ma, in generale, lo spirito che si riscontra sembra ormai sintonizzato con le istruzioni dell’allenatore: abnegazione in ogni reparto. “Nessuno si sente più importante degli altri”, dice Szczesny.
Ne consegue che, chiunque difenda i pali bianconeri, in genere non si deve dannare più di tanto (Perin, per esempio, si è dovuto sporcare i guantoni appena 3 volte in 2 partite giocate). Una fase difensiva che comincia dagli attaccanti, che Allegri sta dimostrando di saper coordinare con grande intelligenza, variando le coppie in base all’avversario, alla situazione, allo stato di forma. Esemplare la gestione di domenica: due punte rapide dal primo minuto con l’obiettivo di sfiancare i centrali viola senza dare punti di riferimento; poi Milik e Vlahovic, per aumentare il peso specifico e tenere il pallone lontano dai guai.
Una sofferenza passiva solo apparente, che nei fatti si traduce in un dominio territoriale tutto sommato sterile ceduto volontariamente agli avversari (domenica, 17’08” di possesso palla contro i 36’24” della Fiorentina), costretti il più delle volte a tentare la conclusione da lontano – sono appena 2 i gol subiti dall’interno degli undici metri. E si torna sempre qui: il “gioco” della Juve non sarà esaltante, ma è frutto di un pensiero concreto che si ama o si odia. Allegri si gode il momento e, dopo Firenze, nella sua testa risuona la voce del tarantiniano tenente Aldo Raine: “Questo potrebbe essere il mio capolavoro”.