Se sbagli un gol il risultato non cambia, se sbagli una parata sì. Non esiste ruolo statisticamente più ingrato del portiere. Ad eccezione del terzo portiere. Specialmente quando si tratta di contendersi il posto con una selezione di connazionali di simile livello. Può sembrare irrilevante – dopotutto, nel migliore dei casi, non giocherà neanche un minuto – ma scelta di chi, a giugno, completerà il terzetto a difesa dei pali azzurri insieme a Donnarumma e Vicario rappresenta un importante riconoscimento di merito.
Una cosa è certa: verrà dalla Serie A. Primo e seconod portiere rappresentano infatti l’export dell’eccellenza Made in Italy in Francia e Inghilterra e sono, al momento, indiscutibili. Negli States sono stati chiamati in causa poche volte: appena una parata per Vicario contro l’Ecuador, due per Gigio contro il Venezuela – di cui, però, un rigore neutralizzato dopo tre minuti di gioco, a ribadire il proprio strapotere tra i pali. Leggermente più a suo agio coi piedi è invece parso l’ex Empoli: 43 tocchi del pallone, 4 palle lunghe su 10 precise, così come 29 passaggi su 36. Ma ormai non è una novità.
Accanto all’uno e all’altro, complice l’infortunio di Provedel, si sono accomodati in panchina prima Meret e poi Carnesecchi. L’estremo difensore del Napoli, che lo scorso anno fu tra i protagonisti dello scudetto, non ha mai, in realtà, trasmesso particolare sicurezza. La stagione negativa dei partenopei non è una grande vetrina per il classe ’97, che tra i portieri italiani titolari è quart’ultimo per percentuale di parate (66.3), davanti solo a Consigli, Scuffet e Turati, che però hanno subito più tiri in porta.
Discorso diverso invece per il giovane Carnesecchi, che ha stravinto in poco tempo il ballottaggio con Musso ed è sempre più protagonista dell’annata atalantina. È significativo che l’ultima-grande-prestazione-più-porta-inviolata sia arrivata al Maradona contro il Napoli di Meret: 5 parate da dentro l’area (un paio splendide su Osimhen) e 1.13 gol evitati. 20 reti subite su 19 partite di campionato (1.05 a partita), ma 4 solo contro l’Inter, e nella stessa partita un rigore parato a Lautaro. Per non parlare, poi, dei due consecutivi neutralizzati a Pinamonti nel 3 a 0 contro il Sassuolo. Carnesecchi è, sicuramente, il futuro.
Ma nel presente ci sono almeno due portieri che, per costanza, affidabilità tra i pali e confidenza nella gestione del pallone coi piedi, meriterebbero un posto in Nazionale. Il primo è il già menzionato Ivan Provedel – definito “probabilmente il miglior portiere dell’ultimo campionato” dal capo delegazione Buffon – che, come Meret, sta attraversando una stagione più complicata a livello fisico e di squadra ma individualmente ha mantenuto una buona percentuale di parate (78 su 109 tiri in porta, il 73.4%).
Il secondo è Michele Di Gregorio, portierone del Monza che sta convincendo davvero tutti. Su 27 partite giocate, appena 24 reti subite, 11 volte porta inviolata, 2 rigori salvati e una percentuale mostruosa di parate: 82.5%, la più alta tra gli italiani titolari in Serie A. A ciò si unisce una discreta propensione a impostare dal basso, correndo spesso anche qualche rischio (e qualche eccesso di confidenza: si veda il gol di Beltrán in Monza-Fiorentina), ma lo stesso Spalletti affermò che “per un gol preso da un errore con i piedi del portiere ne fai dieci perché cominci bene l’azione“.
La dichiarazione calza a pennello. Di Gregorio è probabilmente il terzo portiere di cui la Nazionale ha bisogno, la classe operaia che va in paradiso dopo una lunga gavetta tra Lega Pro e Serie B fino a conquistarsi un pass per l’Europeo. Forse, sul campo, la scelta non sarà così rilevante, ma il terzetto che difenderà i pali degli Azzurri è un biglietto da visita che esprime con vanto uno dei migliori prodotti del Paese, ed è bene che il criterio guida sia quello della meritocrazia.