9 punti in 9 partite. Appena 6 gol segnati (pressoché in linea con il dato totale degli Expected Goals, 6,75); la statistica più bassa dall’autunno 2006, secondo quanto riportato da Tuttosport. Numeri che hanno, giustamente, provocato la contestazione della curva Maratona nei confronti di Urbano Cairo – invitato a cedere la società – ma anche della squadra e dell’allenatore. Quest’ultimo, ben lontano dall’obiettività proverbiale, cinica, spietata cui ci aveva abituato sin dai tempi del Grifone, si è barricato dietro al ricordo dei “due anni fantastici” trascorsi sulla panchina del Torino.
Juric sembra spento, accondiscendente (“Troveremo il modo per uscire da questa situazione, chiaramente negativa”) e i suoi ragazzi con lui. Non è un problema tattico – fino all’infortunio di Schuurs, i movimenti coordinati dei granata avevano tenuto l’Inter distante dalla porta di Milinkovic-Savic, mettendo i neroazzurri in relativa difficoltà su un paio di recuperi alti. Ma poi il fattaccio: il ginocchio del centrale olandese fa crack e il Toro scatenato si spegne, diventa innocuo, docile. Quei sessanta minuti precedenti di guerriglia a tutto campo diventano “una grandissima gara”, rovinata soltanto da “un po’ di sfiga”.
Parole del presidente, che rispecchiano la mancanza di oggettiva lucidità sul momento no del Torino. E la partita di sabato ha messo in luce tutti i limiti fin qui emersi nella squadra del tecnico croato. Una formazione difensivista, dipendente dall’intelligenza di Schuurs e dalla fisicità di Buongiorno, sterile in zona offensiva (penultima per occasioni create, 58, con una capacità realizzativa del 7%; davanti solo al Genoa, che però ha capitalizzato il 18% delle 44 chance prodotte) e mediocre in fase d’impostazione: il buon Ricci, primo per distacco nei passaggi progressivi completati (47), deve farsi spesso carico della manovra.
A dirla tutta, l’intensità applicata nella prima ora contro l’Inter, nonostante sia spesso una caratteristica delle compagini allenate da Juric, non si era vista molto fino ad ora. Il Toro è quart’ultimo in Serie A per chilometri medi percorsi a partita (108.23) davanti a Lecce, Verona e Udinese. Un ritardo di condizione già palesatosi nei big match contro Milan, Lazio e Juventus, che sicuramente ha inciso sui vari e significativi infortuni di Soppy, Djidji, Sanabria, Buongiorno e, per ultimo, Zapata. Il pressing forsennato, poi, provoca delle amnesie difensive preoccupanti e fatali passate un po’ inosservate.
È il caso, per esempio, del minuto 7, quando Rodríguez e Lazaro osservano passivi l’inserimento di Calhanoglu alle loro spalle, Linetty va a chiuderlo quasi trotterellando e il traversone del turco passa in mezzo a Tameze e Schuurs. Lautaro, incredulo della solitudine di cui gode, liscia. Una situazione simile si ripropone sul gol del vantaggio neroazzurro, con Thuram liberissimo di colpire da appena dentro l’area di rigore, senza la minima opposizione degli interditori granata.
Insomma, per due stagioni consecutive il Torino ha alternato prestazioni curate al dettaglio a disfatte incomprensibili. Se il terzo anno doveva essere quello della continuità, il prospetto non è dei migliori. I granata stanno pagando alcune assenze pesanti ma Juric ci sta mettendo del suo, a cominciare dalla gestione della rosa. In particolare, l’ambiguo rapporto con Radonjic, ma anche la scelta di schierare due titolari come Vojvoda e Ilic sotto di due gol a quattro minuti dalla fine. “Nessuno vuole restare nella mediocrità”, ha detto il mister, ma la strada per uscirci sembra davvero impervia.