Le maledizioni più influenti del calcio

Nel calcio, si sa, tutto può succedere. Non si tratta solamente di una frase ad effetto, ma anche nel calcio, come in tutte le cose, talento, bravura e mentalità sono sì ingredienti fondamentali per avere successo, ma anche fortuna e sfortuna giocano un ruolo centrale. La “porta stregata“, per citare l’esempio più classico, il “occhio per occhio, prezzemolo e finocchio” per citare invece Lino Banfi: insomma, fortuna che può sorridere o guardare le spalle, che può aiutare a raggiungere obiettivi importanti o trasformare una partita in un vero e proprio incubo. Scopriamo insieme, allora, alcune delle “maledizioni”, antiche o recenti, più famose del mondo del calcio.

La maledizione del cannoniere

Gol o scudetto? Una domanda che, per quanto scontata, sembra gravare sulle teste di tutti i goleador del nostro campionato. Già, perchè sono 13 anni che il capocannoniere non va d’accordo con lo scudetto. Negli ultimi 30 anni, solamente 4 sono stati i capocannonieri che sono riusciti a fare doppietta (titolo marcatori e scudetto), di cui l’ultima nel 2009, quando Ibrahimovic guidava l’attacco dell’Inter. Neppure il miglior marcatore di tutti i tempi, Cristiano Ronaldo, è riuscito a rompere questa maledizione, conquistando sì il titolo di capocannoniere nel suo triennio alla Juventus, ma con la vittoria dello Scudetto finita tra le mani di Lukaku e dell’Inter di Conte. E chissà se Victor Osimhen, in testa a quota 12 reti finora, in questo Napoli inarrestabile, può spezzare questa maledizione.

Guai a chi segna all’Empoli

Chissà se, con l’avvicinarsi della sfida di San Siro tra Milan ed Empoli, i giocatori rossoneri inizieranno a tremare. E no, non stiamo parlando di un semplice risultato sportivo, data anche l’attuale posizione in classifica delle due squadre (Milan secondo, Empoli quattordicesimo), ma di una strana statistica un po’ inquietante che intreccia la sfida con il mercato, aleggiando proprio su Empoli-Milan. Dal lontano 1997, infatti, i giocatori rossoneri che segnano, nello specifico con un colpo di testa, all’Empoli, dopo qualche mese devono fare le valigie e trasferirsi in un altro club. È iniziata nel ’97, dopo il gol-vittoria di Andersson, ceduto dopo soli due mesi da quel gol al Newcastle; è proseguito con Vieri, che dopo due mesi dall’unica rete nel campionato del 2005, proprio in occasione di Empoli-Milan, farà le valigie in direzione Monte Carlo; ed è anche capitato ad un altro grande nome come quello del Niño Torres, che nel pareggio del 2014 segnò, per poi essere trasferito all’Atletico Madrid. Tutti, categoricamente, di testa. E se Ballo-Touré, per ora, è salvo, i giocatori rossoneri – forse – devono stare attenti su come segnare.

Molto forte, incredibilmente vicino

Sempre molto vicino, sempre ad un passo dal traguardo, senza mai riuscire ad agguantare il tanto agognato trofeo. Era il maggio ’96 quando le mani di Gianluca Vialli sollevava al cielo il trofeo dalle grandi orecchie. E se quello, probabilmente, è stato uno dei più grandi successi di Madama in Europa, a malincuore tutti i tifosi bianconeri devono accettare che è stato anche l’ultimo. Sono passati 26 anni da quel giorno, e la Juventus ha dominato in lungo e in largo in campionato, ma non è mai più riuscita a mettere le mani sulla Champions League. Da quella beata e al contempo maledetta spedizione europea del ’96, sono arrivate cinque finali, mai una vittoria. Due di fila perse contro Borussia Dortmund e Real Madrid, la finale persa ai rigori col Milan nel 2003, fino alle più recenti sconfitte contro Barcellona e Real Madrid nelle stagioni 2014/15 e 2016/17. A queste, se proprio si vuole calcare la mano, si possono aggiungere le finali perse nel 1973 contro l’Ajax e nel 1983 contro l’Amburgo, per un totale di 7 finali di Champions perse. Primato, in negativo, di finali perse.

Nessuno (o quasi) fa il bis

Ci spostiamo dai drammi sportivi di casa nostra a quelli a livello internazionale.
Approfittando anche del risultato della finale del mese scorso, anche i Mondiali, competizione per Nazionali per eccellenza, portano con sé una maledizione che perdura addirittura dal 1962. Siamo nel pieno della festa carioca, con i brasiliani che si sono appena portati a casa il loro secondo Mondiale consecutivo, trascinati dalle reti di Garrincha, Vavà e dal grandissimo Pelé, ed eguagliando il record dell’Italia di Pozzo, riuscita nell’intento di portare a casa due Mondiali consecutivamente.
Sarà la seconda, e anche l’ultima volta: da quell’anno, nessuna squadra detentrice del titolo è più riuscita a fare così bene nella competizione. Anzi, in ben 13 edizioni su 21 (chiaramente esclusa dal conteggio la prima edizione in Uruguay), la squadra detentrice non ha nemmeno raggiunto le semifinali, figuriamoci vincere una finale. Delle finaliste, solo pianti (e ne sa qualcosa la Francia). Appuntamento nel 2026, con l’Argentina orfana di Messi, pronta ad affrontare questa incredibile maledizione.

Il Triplete al contrario

A 90 minuti dalla fine del campionato 1999/2000, il Bayer Leverkusen è in testa con 3 punti di vantaggio. A fine partita, la sconfitta contro il piccolo Unterhaching la condanna al secondo posto per la differenza reti. È la genesi di una squadra bellissima, destinata a non vincere mai. Già, perchè se un pomeriggio del genere non diventa, di diritto, la peggiore delusione per una squadra, poco ci manca. E quel poco, è la stagione 2002/03, quando il Bayer Leverkusen, che verrà poi il soprannominato Bayer “Neverkusen”, entrerà – suo malgrado – nella storia.
Nell’aprile del 2002, alla penultima giornata di Bundesliga, le aspirine sono ancora in lotta in ogni competizione. La corsa al titolo, stavolta, è contro il Dortmund, ma in ballo ci sono anche le finali di Deutscher Pokal (la coppa di lega tedesca) e di Champions League. Il 27 aprile inizia sognando il triplete. Ma nessuno si può aspettare cosa succederà. Il Bayer rivive gli incubi di Unterhaching, crolla e perde, mentre il Dortmund rimonta e vince lo scudetto. L’11 maggio va in scena la finale di Deoutscher Pokal, dove lo Schalke 04, avversaria storica ma sicuramente inferiore, riesce a vincere 4-2, senza faticare troppo. Zero su due. Rimane solo una partita da giocare, l’ultima della stagione, la finale di Champions a Glasgow contro il Real Madrid dei “Galacticos”. Ed è solamente un gol “Galacticos”, forse uno dei più belli mai realizzati in una finale di Champions, con cui Zidane sblocca il risultato e porta a casa la coppa dalle grandi orecchie. Il triplete al contrario è completo, e il palmares, già scarso, non si è mai più riempito: Neverkusen, di nome e di fatto.

Mai sfidare Bela Guttmann

Una squadra, quel Benfica, fra le più forti e importanti del panorama europeo. Una squadra capace, dopo aver vinto tutto, a stabilire il poco invidiabile primato di undici finali continentali consecutive perse, tra prima squadra e Primavera. Impossibile dare la colpa solo alla sfortuna: secondo una convinzione sempre più diffusa e sempre più tramandata dai tifosi delle Aquile, la colpa di questa incredibile nuvola nera sopra i campi del Benfica è da ritrovare nella maledizione più potente mai lanciata nel mondo del calcio.
Dopo una sola stagione alla guida del Porto, Béla Guttmann nel 1959 approda ai rivali di sempre del Benfica, e rivoluziona completamente la squadra promuovendo i giovani e confermando un nuovo e più offensivo 4-2-4. È con questa squadra che riesce a vincere due volte consecutive il campionato lusitano, ma soprattutto riesce a portare nella bacheca delle Aquile due Coppe dei Campioni consecutive, nel 1960/61 e 1961/62. Memore è la seconda, dove i lusitani riescono a ribaltare il 3-1 del primo tempo contro il Real Madrid di Puskas. Insomma, la seconda Champions è un trionfo come pochi: Guttmann e i lusitani entrano nella leggenda, ma la dirigenza non è contenta dei risultati. In campionato, infatti, l’allenatore ungherese manca l’appuntamento con il terzo scudetto consecutivo, fermandosi solamente al terzo posto. La dirigenza mugugna e non concede il premio in denaro già pattuito: un clamoroso divorzio, un fulmine a ciel sereno che diventa ancora più clamoroso dopo le parole del tecnico, che mentre va via – sbattendo le porte – maledice il club.

Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà per due volte conseutive Campione d’Europa, e senza di me il Benfica non vincerà mai una Coppa dei Campioni.

Sicuramente, sul momento in pochi diedero peso a quelle parole, e probabilmente le derisero anche. Ma da quel 1° maggio 1962, effettivamente, il Benfica non ha più vinto nulla al di fuori dei propri confini nazionali. 11 le finali europee disputate fino ad oggi, 8 della Prima squadra, 3 dalla Primavera, da cui sono arrivate nient’altro che sconfitte. Cinque le finali di Coppa dei Campioni perse, 3 quelle di Coppa UEFA/Europa League, e altrettante le sconfitte in Youth League. Un autentico disastro.
61 anni dopo, il Benfica continua a pagarne le conseguenze: la Maledizione di Guttman incombe ancora sulle teste dei lusitani.

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