Dove sono finiti i campioni di caratura internazionale degli anni Ottanta e Novanta?

È tra la metà degli anni ’80 e tutti i ’90 che il massimo campionato di calcio italiano, la Serie A, raggiunge l’apice del suo splendore attestandosi stabilmente come il migliore e il più competitivo dei tornei mondiali. Sono gli anni in cui le proprietà delle squadre della massima serie erano nelle mani solide di grandi imprenditori nazionali che investivano tantissimo nei club assicurando uno spettacolo domenicale di grandissimo livello. Gli stadi erano sempre pieni e la formula a 16 squadre assicurava grande competitività su tutti i campi. Non era infrequente vedere una cosiddetta big perdere contro una più piccola squadra di provincia e il titolo finale era contendibile anche dalle squadre meno abituate a vincere. Tra gli ’80 e i ’90 infatti vinceranno lo scudetto la Roma, il Napoli di Maradona per ben due volte, la Sampdoria di Vialli e Mancini e il Verona che nel 1984 compie un vero e proprio miracolo. Una specie di Nba del calcio che rappresentava il massimo obiettivo di tutti i calciatori. 

Squadre Big VS squadre di provincia

Ricordare quel periodo significa anche notare la differenza tecnica tra l’attuale Serie A e quella di un tempo dove anche la qualità delle squadre di provincia era alta, è sorprendente riscontrare come diversi campioni di livello internazionale tra gli anni ’80 e i ’90 scelsero di giocare in queste squadre più piccole dando vita ad un fenomeno che nel calcio contemporaneo sarebbe impensabile; ma quali furono i casi più significativi della storia del calcio italiano di quegli anni? Ne abbiamo individuati i più significativi

Ante Zico e Post Zico

L’Udinese era una piccola squadra che poteva permettersi di schierare in attacco Causio, Mauro, Virdis ma soprattutto Zico colui per il quale la tifoseria del Flamengo, (squadra in cui militò in Brasile), divide la storia del club in “avanti Zico” e “dopo Zico”. Arthur Antunes Coimbra, detto Zico, arrivò all’Udinese nell’estate del 1983 dopo una lunga controversia con la FIGC legata alla presenza di nuovi calciatori stranieri nel nostro campionato. All’epoca Zico era il calciatore più forte del mondo, i suoi dribbling, la sua tecnica e il modo di calciare il pallone erano unici, sembrava danzare con il pallone come solo chi è nato e vissuto a Rio de Janeiro può fare. In pochi giorni l’Udinese vendette più di ventiseimila abbonamenti e per tutta la stagione 1983/84 lo stadio “Friuli” di Udine fu sempre tutto esaurito. La prima stagione di Zico a Udine fu memorabile, infatti il brasiliano riuscì a realizzare 19 gol classificandosi al secondo posto nella classifica dei cannonieri dietro a Michel Platini. In quel campionato Zico realizzò una serie di gol memorabili alcuni dei quali realizzati con i suoi imprendibili calci di punizione, ma sarà nella domenica 8 gennaio 1984 a San Siro, nel 3-3 tra Milan e Udinese, che Zico segnerà in rovesciata uno dei gol più belli della sua carriera. Il campionato successivo (1984/85), a causa di un infortunio, Zico giocò poche partite e realizzò soltanto 3 reti, si chiuse così dopo soli due anni la sua esperienza italiana per fare ritorno nel “suo” Flamengo.

L’era del mancino Hagi

È il 1992 quando Hagi, “Il Maradona dei Carpazi”, lascia il Real Madrid per sbarcare in Italia al neopromosso Brescia, allenato dal suo connazionale romeno Mircea Lucescu. Gheorghe Hagi è considerato il miglior giocatore romeno di tutti i tempi e con la sua nazionale partecipò a tre edizioni dei mondiali (1990, 1994 e 1998). Oltre alle qualità tecniche eccezionali, il piede mancino di Hagi era in grado di fare assist per gli attaccanti oppure goal pazzeschi dalla distanza e su calcio piazzato, Gheorghe aveva una grande personalità che lo rese il leader in campo di tutte le squadre in cui militò. Nella sua prima stagione italiana Hagi realizzerà solo cinque reti e il Brescia, dopo aver perso lo spareggio contro l’Udinese, retrocederà in Serie B, ma la sua voglia di rivincita era talmente forte da fargli rifiutare tutte le offerte ricevute. Scelse così di rimanere al Brescia per riportare i lombardi nella massima serie. In Serie B realizzerà 9 gol trascinando la squadra al terzo posto valido per la promozione in serie A, nel 1994 finirà la sua esperienza italiana e verrà ceduto al Barcellona.  

Paul Caniggia, il figlio del vento

L’argentino Claudio Paul Caniggia è stato una seconda punta formidabile, le doti tecniche e la sua straordinaria velocità, (si dice corresse i 100 mt in 11 secondi e per questo venne soprannominato figlio del vento), lo porteranno a indossare la maglia della sua nazionale a soli 20 anni, con l’Argentina segnerà al Mondiale 1990 i gol decisivi al Brasile negli ottavi di finale e contro l’Italia in semifinale. Nel 1988 viene acquistato dal Verona che lo preleva dal River Plate e nel 1989 si trasferisce all’Atalanta dove il suo talento esplode definitivamente, infatti nei tre anni a Bergamo Claudio realizzerà ben 26 gol mettendo in evidenza anche le sue caratteristiche di grande velocista e alcuni atteggiamenti un po’ eccentrici. Dopo l’Atalanta, per lui ci sarà una breve parentesi alla Roma che lo acquista nell’estate del 1992, per poi ritornare in Argentina a giocare con la maglia del Boca Juniors in coppia con l’amico Maradona. Chiuderà poi la sua carriera nel Campionato scozzese, prima nell’FC Dundee e poi nei Rangers Glasgow.

Stoichkov: toccata e fuga

L’attaccante Hristo Stoichkov arrivò al Parma nell’estate del 1995 con la fama del grande attaccante di livello internazionale, infatti il bulgaro, oltre ad aver segnato tantissimi gol nelle cinque stagioni con la maglia del Barcellona, aveva condotto la sua nazionale allo storico quarto posto del mondiale USA 1994 che gli valse poi la conquista del Pallone d’Oro. Alla presentazione del calciatore, pagato 12 miliardi delle vecchie lire, assistono migliaia di tifosi del Parma che sognano di poter vincere lo scudetto dopo l’acquisto del pallone d’oro in carica. L’inizio sembrerebbe confermare le attese, infatti nella prima parte della stagione Stoichkov segna quattro gol in cinque giornate fornendo anche molti assist ai compagni. Purtroppo, con il passare delle settimane, complici qualche screzio nello spogliatoio e la concorrenza di un giovane Pippo Inzaghi, il rendimento crolla al punto che il bulgaro segnerà solamente un gol da ottobre a maggio e alla fine di quella unica stagione tornerà al Barcellona senza aver lasciato un grande segno del suo passaggio in Italia.

 

Pep Guardiola e il suo amato Brescia

Guardiola non ha certo bisogno di presentazioni e oggi è universalmente riconosciuto come uno dei migliori allenatori al mondo, ma anche la sua carriera da calciatore è stata straordinaria. Pep è stato un centrocampista fantastico, era il cervello della squadra alla quale dettava tutti i tempi di gioco con passaggi di prima o lanci lunghi. Da calciatore ha vinto tutto con la maglia blaugrana del Barcellona prima di approdare trentenne al Brescia del presidente Corioni. In quegli anni il presidente delle Rondinelle si era specializzato nel mettere a segno dei colpi di mercato sensazionali puntando su calciatori di classe vogliosi di rilanciarsi dopo qualche stagione difficile, infatti non a caso Roberto Baggio e Pep Guardiola furono compagni di squadra proprio al Brescia. I due furono al centro dell’episodio in cui Guardiola cedette spontaneamente a Baggio, rientrato in campo dopo due mesi di infortunio, la fascia da capitano lasciando intravedere già le caratteristiche del grande allenatore che poi sarebbe diventato. L’esperienza degli anni bresciani è rimasta talmente dentro allo spagnolo che nel 2009 volle invitare di persona Carlo Mazzone allo stadio Olimpico di Roma per la finale di Champions che il Barcellona vincerà contro il Manchester United.

 

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